• Pedagogia e Politica. Costruire comunità pensanti
    V. 3 N. 1 (2021)

    La Pedagogia e la Politica sono categorie storiche e culturali che nascono da una comune base ontologica: l’umano. Da sempre, entrambe, si sono affermate come non-luoghi della Teoria e della Prassi dell’agire in quella che si sarebbe chiamata comunità, società, Πόλις.

    Sia la Pedagogia che la Politica, seppur con declinazioni apparentemente differenti, hanno dovuto immaginare paradigmi formativi opportuni per affrontare lo Zeitgeist, per il quale l’Uomo, con le sue scelte e con il suo pensiero avrebbe costruito, come pietre angolari del Sistema-Mondo, luoghi, riflessioni, fondate su valori e idee poi divenute ideologie.

    Come sappiamo, le crisi culturali, economiche, identitarie, hanno mutato ed indebolito un rapporto necessario tra la Pedagogia e la Politica.

    Ma in uno snodo fondamentale nella storia dell’umanità, come questa epoca ci insegna, è quantomai opportuno ripercorrere e ricostruire i fili di un rapporto essenziale, stigmatizzando la fondamentale possibilità di “aver cura” del pensiero e della “facoltà di giudizio”.

    Se è vero che siamo soggetti “culturalmente modificabili” (N. Doidge, Alva Noe) e frutto della relazione con l’Altro, e se è vero, come scrive Edgar Morin, che siamo 100% natura e 100% cultura, occorre chiedersi come un nuovo Umanesimo potrà costruirsi attraverso una nuova idea di “Uomo Planetario” (E. Balducci) capace di vivere una dimensione dell’umano, nella quale la Pedagogia e la Politica dialoghino nuovamente in un percorso di crescita, di rispetto e di responsabilità. In che modo l’educazione e la politica possono concorrere alla formazione di cittadini capaci di interiorizzare virtù politiche, quali: rispetto dell’altro; rispetto delle istituzioni; essere prudenti nei giudizi; ritenere necessario lo studio e praticarlo; avere il coraggio di decidere; distinguere nettamente tra pubblico e privato; conoscere il dolore delle persone.

    In questa prospettiva intendiamo dedicare il numero Speciale della rivista a ricerche e contributi che

    abbiano come campo di indagine il rapporto tra pedagogia e politica, riflettendo sul ruolo che queste categorie possono svolgere nella capacità di costruire Comunità Pensanti, in grado di attivare percorsi di politica civilmente orientata, attraversando alcuni dei temi fondativi della pedagogia generalista:

    • La figura del Maestro come riferimento culturale;
    • Paradigma della complessità in educazione;
    • Educazione, merito, democrazia;
    • Apprendimento generativo e apprendimento transitorio;
    • Empatia, Apprendimento e Società;
    • Educare al pensiero critico.
  • La progettazione educativa tra Orientamento e Lavoro. Generatività-Confine-Progettualità: i luoghi del cambiamento
    V. 4 N. 1 (2022)

    Il tema dell’orientamento, da sempre all’attenzione delle scienze pedagogiche, è oggi al centro del dibattito sociale, culturale, politico ed economico.

    Numerosi, infatti, gli studi, le ricerche, le azioni normative che le istituzioni preposte mettono a disposizione della Comunità per valorizzare le pratiche orientative e gli scenari possibili che le stesse sono in grado di determinare.

    Il cambiamento dei sistemi di orientamento appare oggi una priorità a livello internazionale di fronte alla rapida trasformazione del mercato del lavoro e alla necessità di garantire una piena inclusività di tutte le persone, favorendo una nuova “governance” delle collaborazioni fra i diversi ambiti dell’istruzione, della formazione e del lavoro.

    La recente approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e la Missione 4 può rappresentare per la comunità scientifica ed istituzionale una risorsa sinergica per ri-costruire e ri-lanciare il tema dell’orientamento come centrale e fondativo per la strategia di crescita del Sistema-Paese e per promuovere l’occupazione attiva e il supporto nei processi decisionali.

    La Riforma dell’Orientamento, infatti, inserita nella Missione 4 “Istruzione e Ricerca” – Componente 1, introduce moduli innovativi di orientamento formativo – circa 30 ore annue – nella scuola secondaria di primo e secondo grado, da ricomprendersi all’interno del curriculum complessivo annuale – al fine di incentivare l’innalzamento dei livelli di istruzione e prevenire la dispersione scolastica, anche attraverso la realizzazione di una piattaforma digitale di orientamento, allineata con l’offerta formativa terziaria degli Atenei e degli Istituti di formazione professionale (ITS) e al fine di accompagnare studentesse e  studenti nella scelta consapevole di prosecuzione del percorso di studi o di ulteriore formazione professionalizzante, propedeutica all’inserimento nel mondo del lavoro.

    La riforma è sinergica rispetto all’Investimento 3.1 della medesima Missione 4 “Nuove competenze e nuovi linguaggi” a titolarità del Ministero dell’istruzione e rispetto all’Investimento 1.6 “Orientamento attivo nella transizione scuola-università” a titolarità del Ministero dell’università e della ricerca.

    La pedagogia, scienza di confine, interpreta i processi orientativi in una prospettiva generativa per la quale l’orientamento non è solo una pratica educativa, quanto piuttosto, una pratica esistenziale che consente al soggetto in formazione di ri-costruire e ri-determinare costantemente il proprio progetto di vita.

    Le esperienze più promettenti nel settore scolastico sono caratterizzate da processi orientativi che mettono al centro i percorsi di vita delle studentesse e degli studenti, delineando approcci che valorizzino l’orientamento come “pratica esistenziale”, capace di generare nel soggetto in formazione una costante riflessione sul proprio progetto di vita, realizzando nuovi stimoli nella conoscenza della propria identità, dei propri talenti e delle vocazioni personali lungo tutto l’arco della vita, secondo una prospettiva longitudinale.

    Orientare implica per gli studenti la necessità di “scegliere”, di “decidere”, di “porre confini”, di superarli, pur all’interno di una società complessa. Per tale ragione la progettazione educativa tra orientamento e lavoro, incentrata sulla valorizzazione della dimensione progettuale ed esistenziale, rappresenta un modello di ricerca sul campo di straordinario interesse per le nuove politiche di orientamento.

    L’orientamento generativo si colloca così in una visione paradigmatica di cambiamento e costruzione consapevole del proprio percorso identitario.

    In questa direzione la dimensione epistemologica della generatività interpreta l’orientamento attraverso l’ermeneutica della vocazione nei soggetti in formazione, una prospettiva che consente di analizzare il confine con un approccio dinamico ed esistenziale.

    Il confine diviene, nella pratica orientativa, una demarcazione costante tra le possibilità: il confine tra sé e la scelta ovvero tra la possibilità di scegliere e la capacità di decidere attraverso azioni intenzionali.

    La progettazione educativa tra Orientamento e Lavoro ritrova nella triade generatività-confine-progettualità la chiave di lettura necessaria per costruire “Comunità Pensanti”.

    In questa prospettiva intendiamo dedicare il nuovo numero della rivista a ricerche che abbiano come campo di indagine la progettazione educativa tra Orientamento e Lavoro.

  • Il desiderio come categoria pedagogica
    V. 5 N. 1 (2023)

    Il desiderio non è una parola che appartiene classicamente al lessico e al quadro concettuale della pedagogia. Essa occupa invece un posto centrale nella psicoanalisi. Perché la sua introduzione nella teoria e nella pratica pedagogica può essere decisiva? Quali sono stati sino ad ora gli interventi più significativi in questa direzione?

    E come sarebbe possibile fare dell’istanza del desiderio il nucleo portante di una nuova pedagogia senza scadere nelle derive neolibertarie o, peggio, neolibertine?

  • Povertà educative e Comunità Pensanti: le sfide della Pedagogia Generativa e dei Sistemi Organizzativi
    V. 6 N. 1 (2024)

    Nel titolo della Call è rinvenibile il piano epistemologico entro cui si intende analizzare il tema delle povertà educative che – nella loro struttura multidimensionale e multifattoriale – sono da tempo al centro della riflessione scientifica e del dibattito politico-sociale.
    Una delle prime sistematizzazioni del concetto di Povertà educativa è di Save the Children (2014) che l’ha definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”, elaborando così un Indice di Povertà Educativa (IPE) costituito da14 indicatori che riguardano prevalentemente l’accessibilità, la qualità dell’offerta educativa e i livelli di partecipazione dei minori ad alcune attività culturali e sociali.
    L’obiettivo di questo numero però è quello di interpretare le povertà educative come la contraddizione dell’umano, la sfida pedagogica delle Comunità Pensanti. La scelta di non utilizzare il termine nella sua accezione singolare ma al plurale non è casuale, descrive piuttosto la cornice di senso e di significato con la quale la Pedagogia Generativa (Mannese, 2016, 2019, 2021, 2023) interpreta il fenomeno. Una interpretazione che muove dagli esiti delle ricerche realizzate attraverso il Protocollo Metodologico di Orientamento Generativo e dei Sistemi Organizzativi che ha esplicitato la sua azione pedagogica nell’ermeneutica dei talenti e nei percorsi di orientamento precoce, rimettendo al centro l’uomo e la sua capacità di “pensar-si Umano”.
    La pedagogia generativa distingue tra povertà educative primarie e povertà educative secondarie (Mannese & Lombardi, 2023). Le povertà educative primarie nascono dalla mancata acquisizione dei bisogni primari essenziali: la nutrizione, le cure mediche, l’alfabetizzazione, il cambiamento climatico, tutte quelle condizioni geopolitiche che impediscono all’uomo di abitare con dignità un territorio. Le povertà educative secondarie sono, invece, l’esito dei processi di occidentalizzazione fondati sulla logica pervasiva della globalizzazione, del capitalismo orientati all’ipocrisia consumistica e della perfezione. Le povertà educative primarie e secondarie si strutturano in una interdipendenza fondata sul rapporto di permeabilità legato ai fattori geopolitici contestualizzati.
    Le povertà educative secondarie se da una parte riguardano l’accessibilità, la qualità dell’offerta educativa e i livelli di partecipazione ad alcune attività culturali e sociali, dall’altra sono l’esito di un processo di indebolimento del pensiero critico, della capacità di scelta e di una epistemologia strumentale (Bagnall & Hodge, 2018) dell’educazione e della formazione centrata su abilità e competenze. Una epistemologia strumentale dell’educazione e della formazione che sacrifica il pensiero generativo a vantaggio del pensiero transitorio e tecnocratico (Mannese, 2019), l’esito di quel knowledge gap che si dipana proprio, come scrive Carboni (2021), nella differenza tra conoscenze e credenze, tra sapere scientifico “oggettivo” e sapere “soggettivo”.
    Ma le povertà educative secondarie sono anche l’esito di una politica strumentale che sacrifica la dimensione democratica dell’opposizione e che fa dell’incapacità di distinguere il fatto dall’opinione lo strumento del consenso.
    La pedagogia generativa propone così una interpretazione delle povertà educative come esito di una epistemologia strumentale educativo-formativo-politico-sociale alla quale oppone una epistemologia generativa della conoscenza e del pensiero. Interpretando la pedagogia come “scienza di confine” in grado di “partire dall’uomo per ritornare all’uomo” (Mannese, 2016, 2019, 2021, 2023), l’epistemologia generativa accoglie in sé la consapevolezza che attraverso il pensiero è possibile affrontare le contraddizioni dell’umano. È in queste contraddizioni che “i limiti sono i confini che non possono essere attraversati eppure sono attraversati” (Priest, 1995) e “l’uomo è l’essere confinario che non ha confini proprio perché per trovarli, per lo più, li supera” (Bodei, 2016).
    Dove si annidano, allora, le povertà educative? Forse nell’incapacità dell’uomo di “pensar-si Umano”?
    Ancora una volta la lezione deweyana del “fine in vista” e la necessità di rimettere al centro l’uomo, sempre fine e mai mezzo (Mannese, 2023), divengono la riflessione da cui partire.
    È da questa prospettiva che la pedagogia può assumere una valenza politica nelle povertà educative, aiutando l’uomo a “ri-pensarsi Umano”, prendendosi cura di sé a partire dai propri talenti.
    Se, dunque, da un punto di vista pedagogico non facciamo riferimento alla povertà educativa ma alle povertà educative, occorre chiedersi: quali sono le azioni che è necessario mettere in atto per contrastarle?
    La politica, l’educazione, la formazione affrontano, combattono o piuttosto strumentalizzano le povertà educative?