Nel titolo della Call è rinvenibile il piano epistemologico entro cui si intende analizzare il tema delle povertà educative che – nella loro struttura multidimensionale e multifattoriale – sono da tempo al centro della riflessione scientifica e del dibattito politico-sociale.
Una delle prime sistematizzazioni del concetto di Povertà educativa è di Save the Children (2014) che l’ha definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”, elaborando così un Indice di Povertà Educativa (IPE) costituito da14 indicatori che riguardano prevalentemente l’accessibilità, la qualità dell’offerta educativa e i livelli di partecipazione dei minori ad alcune attività culturali e sociali.
L’obiettivo di questo numero però è quello di interpretare le povertà educative come la contraddizione dell’umano, la sfida pedagogica delle Comunità Pensanti. La scelta di non utilizzare il termine nella sua accezione singolare ma al plurale non è casuale, descrive piuttosto la cornice di senso e di significato con la quale la Pedagogia Generativa (Mannese, 2016, 2019, 2021, 2023) interpreta il fenomeno. Una interpretazione che muove dagli esiti delle ricerche realizzate attraverso il Protocollo Metodologico di Orientamento Generativo e dei Sistemi Organizzativi che ha esplicitato la sua azione pedagogica nell’ermeneutica dei talenti e nei percorsi di orientamento precoce, rimettendo al centro l’uomo e la sua capacità di “pensar-si Umano”.
La pedagogia generativa distingue tra povertà educative primarie e povertà educative secondarie (Mannese & Lombardi, 2023). Le povertà educative primarie nascono dalla mancata acquisizione dei bisogni primari essenziali: la nutrizione, le cure mediche, l’alfabetizzazione, il cambiamento climatico, tutte quelle condizioni geopolitiche che impediscono all’uomo di abitare con dignità un territorio. Le povertà educative secondarie sono, invece, l’esito dei processi di occidentalizzazione fondati sulla logica pervasiva della globalizzazione, del capitalismo orientati all’ipocrisia consumistica e della perfezione. Le povertà educative primarie e secondarie si strutturano in una interdipendenza fondata sul rapporto di permeabilità legato ai fattori geopolitici contestualizzati.
Le povertà educative secondarie se da una parte riguardano l’accessibilità, la qualità dell’offerta educativa e i livelli di partecipazione ad alcune attività culturali e sociali, dall’altra sono l’esito di un processo di indebolimento del pensiero critico, della capacità di scelta e di una epistemologia strumentale (Bagnall & Hodge, 2018) dell’educazione e della formazione centrata su abilità e competenze. Una epistemologia strumentale dell’educazione e della formazione che sacrifica il pensiero generativo a vantaggio del pensiero transitorio e tecnocratico (Mannese, 2019), l’esito di quel knowledge gap che si dipana proprio, come scrive Carboni (2021), nella differenza tra conoscenze e credenze, tra sapere scientifico “oggettivo” e sapere “soggettivo”.
Ma le povertà educative secondarie sono anche l’esito di una politica strumentale che sacrifica la dimensione democratica dell’opposizione e che fa dell’incapacità di distinguere il fatto dall’opinione lo strumento del consenso.
La pedagogia generativa propone così una interpretazione delle povertà educative come esito di una epistemologia strumentale educativo-formativo-politico-sociale alla quale oppone una epistemologia generativa della conoscenza e del pensiero. Interpretando la pedagogia come “scienza di confine” in grado di “partire dall’uomo per ritornare all’uomo” (Mannese, 2016, 2019, 2021, 2023), l’epistemologia generativa accoglie in sé la consapevolezza che attraverso il pensiero è possibile affrontare le contraddizioni dell’umano. È in queste contraddizioni che “i limiti sono i confini che non possono essere attraversati eppure sono attraversati” (Priest, 1995) e “l’uomo è l’essere confinario che non ha confini proprio perché per trovarli, per lo più, li supera” (Bodei, 2016).
Dove si annidano, allora, le povertà educative? Forse nell’incapacità dell’uomo di “pensar-si Umano”?
Ancora una volta la lezione deweyana del “fine in vista” e la necessità di rimettere al centro l’uomo, sempre fine e mai mezzo (Mannese, 2023), divengono la riflessione da cui partire.
È da questa prospettiva che la pedagogia può assumere una valenza politica nelle povertà educative, aiutando l’uomo a “ri-pensarsi Umano”, prendendosi cura di sé a partire dai propri talenti.
Se, dunque, da un punto di vista pedagogico non facciamo riferimento alla povertà educativa ma alle povertà educative, occorre chiedersi: quali sono le azioni che è necessario mettere in atto per contrastarle?
La politica, l’educazione, la formazione affrontano, combattono o piuttosto strumentalizzano le povertà educative?